alfredo santella




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Abito il tempo più che lo spazio, per me un territorio vale l’altro ed il sociale mi garba poco se non interagisce con la bellezza dei giorni speciali. In Sudamerica il raggio verde non inganna sulla qualità delle persone. Julio Verne ha ragione.

GIORNATA PARTICOLARE semplicemente guardando dalla finestra e avere la sensazione di lavorare a qualcosa di stupefacente.

Una volta l’anno nel quartiere di Piask a Varsavia c’e’ una festa in cui i ricchi si fanno coscienziosamente svuotare il portafoglio dai ladri di quell’antico e famoso quartiere della città.

Particolare fu il giorno in cui marinai la scuola per la prima volta infilandomi in una sala da biliardo. Mi batterono le tempie per tutto il tempo, poi, reiterandomi cominciai ad annoiarmi inverosimilmente e a ripreferire la scuola.

Nonostante l’eccezionalità dell’evento Il giorno della prima comunione, inv...
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Inutile dire che trovo il suo lavoro interessante, gliel’avranno già ripetuto in molti... Un’evidenza non certo valida per la sola pittura. Quel che colpisce - seppur vedendo ed ascoltando con il traslato d’uno schermo di computer - è un’impronta unitaria d’un pensiero-pensiero: è come fosse la coniugazione d’una sola idea espressa attraverso l’uso di differenti occhi. Non mi sembra che questo dipenda dal media o dalla tipologia d’ogni specifico lavoro: al di là della coerenza, è l’evidenza di questo sotterraneo, implicito, fil rouge che collega le differenti espressioni, la cosa che personalmente trovo più interessante. Questo al di là dello specifico apprezzamento sull’evidente qualità estetiche ed artistiche d’ogni suo lavoro.
 
Lidia Reghini Di Pontremoli storica dell'Arte
Roma - 2009

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Per una metafisica del viaggio e delle relazioni.

di
Antonio Perrotta per "Pubbliche relazioni" di Alfredo Santella


Al contrario dello spostarsi per turismo il viaggio autenticamente inteso non porta da nessuna parte, tantomeno dentro musei, per foto ricordo e filmini di risulta.
Si viaggia innanzitutto per andare, anzi, come dice Robert L. Stevenson: " muoversi, per sentire più acutamente il prurito della nostra vita, per scendere da questo letto di piume della civiltà e sentirsi sotto i piedi il granito del globo appuntito di selci taglienti."
Alfredo Santella, infaticabile artista viaggiatore, ha inteso sin da giovanissimo tutto questo, affetto da un ormai raro nomadismo culturale e cognitivo. Delegare altrove la ricerca affannosa del senso per mettersi in cammino, giacchè esso è già senso, già espressione di un andare che, prova interiore di conoscenza e smarrimento, mappa gli istinti e le ansie furtive in mutevole cartografia dello spirito.
Lo stimolo naturale alla ricerca del nuovo, l’istintiva attrazione / repulsione per ciò che è estraneo è l’esatta misura della distanza che ci separa dalle realtà, è sfida al confronto, abilità di relazionarsi con il diverso, capacità di adattamento al dubbio e all’imprevisto, possibilità di fabbricare ponti tra la tracotante esteriore vanità dell’Io e la consapevolezza nascosta del Se più profondo.

Come Ulisse, nel capolavoro omerico, Alfredo Santella, nello scorrere della sua opera è protagonista imprescindibile dalla centralità del percorso. La meta può materializzarsi in modo imprevedibile e talvolta può addirittura sfuggire, può essere perennemente e vanamente inseguita; non importa. Parimenti accade all’ebreo irlandese Leopold Bloom, eroicomico protagonista nell’Ulisse di Joyce.
Qui il topos del viaggiatore si rinnova attraverso 18 capitoli, 18 luoghi, 18 ore, 18 stili in un ambiente di voci, sogni, pensieri, umori e situazioni disegnate per sezionare la giornata di un uomo a spasso per Dublino dalle 8 alle 2 di notte del 16 giugno 1904; giornata peregrina, accidentata, figlia della vana ricerca di senso della vita da parte dell’uomo moderno, proteso a dare significato alla banalità del quotidiano. Anche in Joyce il cammino, il viaggio, il percorso restano centrali, mai prestabiliti se non nelle intenzioni. Allo stesso modo il viandare di Alfredo Santella contempera un nomadismo radicale che muta il viaggio spaziale in topografia dell’anima.
In viaggio non si è mai su una strada, essa si fa andando, così come nell’opera di questo particolare artista: non v’e’ via per il colore ma è esso stesso ad inventarsi in molteplici epifanie.
Dice Antonio Machado: "Mentre vai si fa la strada e girandoti indietro vedrai il sentiero che mai più calpesterai. Tu che sei in viaggio, non hai una strada, ma solo scie nel mare".

Il vagabondare di Alfredo Santella fin nella terra dei pavoni (oggi colonia americana) e’ un viaggiare per scoprire ed infine perdere paesi per riguadagnarli sottoforma di narrazione policroma, sequenza di umori, volti, sangue, amori, profili e latitudini.
Si viaggia per scoprire, sentire ed infine abbandonare geografie per essere altro, costantemente, affinchè l’anima non abbia radici ed insegua l’assenza di un fine e, paradossalmente, l’ ansia di raggiungerlo.
Il vero viaggio è continuo approdo e scoperta; ma la scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.
Ecco la creazione artistica.
Una volta che ci si lasci attraversare dal viaggio, difficilmente si potra smettere di farlo, soprattutto nei pensieri di quando per qualche cagione si e’ costretti ad essere stanziali. Lo stesso cervello, come afferma l’artista, "è nomade"; "guai rimanere immobili" diceva Burroughs.

Per il ragazzo, amante delle mappe e delle stampe,
l’universo è pari al suo smisurato appetito...
...ma i veri viaggiatori partono per partire;
I loro desideri hanno la forma delle nuvole...
Charles Baudelaire

Cio che Alfredo Santella intimamente e impulsivamente nutre nei confronti della vita e dell’arte si riflette in ciò che il saggio e sconsiderato viaggiatore apprende dai suoi passi: il pensiero di non essere mai arrivato o in dirittura d’arrivo.
Questo profumo di incompiuto (non d’incompleto), mai linguaggio immaturo, perenne lavorio interiore di opere in continuo corso d’opera, sono quanto la sua esperienza pittorica e artistica in generale lasciano intendere ed ordire.

E ciò contribuisce innegabilmente a rendere autentica, innocente e fortemente antimuseale l’opera di un moderno pellegrino dell’arte e della vita, senza terra, uomo - non a caso - di orgogliose ascendenze giudaiche, che non perde di vista il comune antenato Abramo e la sua chiamata: lekh lekha, vai a te stesso!
E’ nello smarrimento, nell’inquietudine viatica del pellegrino, nell’impossibilità del radicamento il vero approdo a se stessi e al mondo.
E non perde di vista neanche il figlio di Abramo, Ismaele, cacciato dopo la nascita di Isacco e progenitore di 12 tribù arabe.
Figura particolarmente cara ad Alfredo Santella anche in vista della mirabile trasposizione letteraria operata da Melville nel Moby Dick, altro capolavoro dove il viaggio diviene allegoria ed epopea mitica.
E’ noto l’incipit del romanzo:“Call me Ishmael”, "Chiamatemi Ismaele", con cui questa voce narrante - alter ego dello scrittore - dà l’abbrivio all’avventuroso viaggio della Baleniera Pequod.
Ma quell’invocazione iniziale, proprio in virtù del richiamo biblico presente nel Genesi e della cacciata nel deserto, sottende la condizione di esule senza terra; sicché "Chiamatemi Ismaele" equivale a dire "Chiamatemi esule, vagabondo".
Si Capisce allora la particolare predilezione dell’artista per un simile personaggio, così attraente eppure così oscuro, così presente e così avvolto nell’ombra. Ed a ben vedere il magistero di Melville è cromatico; esso si trasfonde nella tonalità narrativa che predilige il colore dell’ombra.

L’ombra è una sagoma dai contorni sfocati, non si può dire nemmeno che sia grigia, in quanto è figlia dell’incontro della luce con un oggetto. La bravura di Melville è di mostrare un’ombra tenendo ben nascosti luce e oggetto. Si pensi agli oscuri compari di Achab da egli stesso assoldati e nascosti per poi sobillare l’equipaggio ufficiale.
“Call me Ishmael” è ombra e movimento nell’ombra, ed e’ questa la sua notevole forza di attrazione, come quella "Linea d’ombra" cantata da Joseph Conrad.
Minimo comun denominatore il mare aperto, spazio sconfinato della solitudine, vera, conturbante dimensione dove il naufragio è sempre possibile, mentre le isole felici vengono inseguite come luoghi dell’interiorità, dove la natura sembra proteggere l’utopia di un mondo intatto e irraggiungibile. Viaggio realistico che si tramuta dunque in percorso simbolico verso l’inconosciuto.

Il viaggio realistico di Alfredo Santella incontra il viaggio per simboli attraverso l’Arte, gettando barbagli di luce nel buio e viceversa, modellando le ombre e dando forma all’ignoto.
L’artista non contempla i segnali topici e statici dei rassicuranti atolli da cartolina, metafore, in arte, di scuole, mode o accademie. Predilige il mare aperto, il seducente frangersi e rinnovarsi delle onde, l’ansia di una meta continuamente agognata ed al tempo stesso fuggita, equivalente eventualità del naufragio. Il viaggio del resto, quello vero, non contempla categorie spazio-temporali ben definite.

Nel viaggio onirico, non meno intenso e reale di quello fisico si vivono situazioni assolutamente anomale e tuttavia non meno plausibili del contesto di riferimento. E’ solo da svegli che sminuiamo l’apparente non sense delle scene. Il ricordo costituisce l’unico pallido anello di congiunzione tra i due mondi. Ma noi non sappiamo a quale mondo esso appartenga, o da quale mondo tragga origine e linfa, o se il mondo non sia altro che il sogno eterno del divino.

Non meno intenso è il viaggio che chiamiamo morte. Dylan Thomas consigliava a suo padre di non avviarsi mite a quella notte. Ma la morte è nel quotidiano. Vivere è morituro divagare.
In realtà suicidarsi o lasciarsi ammazzare dal tempo sono la stessa cosa. E’ sempre il tempo che ci ammazza, sia pure in differenti modalità e circostanze. Siamo noi il tempo.
Entrambe sono forme di suicidio inevitabili.

E’ viaggio, il suo, quello compiuto al di fuori dei comuni ambiti sensoriali e cognitivi alterando il sistema nervoso con sostanze psicotrope, oppure quello compiuto con occhi nuovi nella propria stanza per riportarne esperienze insospettabili, come fecero Xavier de Maistre e fanno tuttora in tanti.
Tutte queste forme di movimento ed esperienza, l’intero e fecondo universo del viaggio metafisicamente inteso, continua a plasmare negli anni l’opera e la personalità di Alfredo Santella. Di questo sono intrise le sue giornate. Ed è da questo dato che si deve partire se si vuole avere un contatto sufficientemente autentico con le sue creazioni, con i suoi disegni, con le sue musiche con i suoi testi.

Da vero e proprio esule nel mondo, offre parimenti una eterogenea e molteplice fioritura artistica che non si limita al pennello e al colore ma spazia in raminga frugalità le potenzialità del supporto (sia esso tela legno cartone carta plastica computer etc), alla ricerca di nuove terre con cui interagire, di nuovi orizzonti da colmare e definire.
Il tutto anche attraverso l’utilizzo e il riutilizzo di materiali poveri o di scarto; quello scarto che l’imperante civiltà dei consumi produce in abbondanza e che l’attenta sensibilità dell’artista può riscattare dal degrado e dall’abbandono.
Viviamo circondati di oggetti “brutti” creati per non durare, che si sfasciano ad una velocità superiore alle attese, programmati per essere poi ricomprati in massa. Il mercato aborre gli oggetti unici: troppo tempo per produrli, non s’inquadrano in un mercato globale.
Cose brutte perché non devono emanare riferimenti ad una cultura determinata. Le cose devono essere anonime, a-culturali, senza la capacità di trasmettere alcunché. Brutte e basta.
Se tutto questo non vi piace, c’è un’alternativa piccola ma divertente: usare le mani, crearsi degli oggetti belli, unici, su misura per voi".

Per concludere, ciò che finora abbiamo delineato implica il dispiegarsi di quelle che Alfredo Santella ama definire Pubbliche relazioni, anche se non in senso manageriale e pubblicitario di rapporto azienda/utenza-clienti (che poi è ciò che il mercato dei consumi ha imposto nel mondo a quasi tutti i livelli di relazione interpersonale).
Pubbliche relazioni, come scrive lui stesso, sono quelle che si stabiliscono in due mani che si stringono, chiamandosi o guardandosi negli occhi, facendo l’amore e addirittura odiandosi. Relazioni che possono essere feconde, vicendevoli, unilaterali, "pericolose", come nell’omonimo romanzo libertino di François de Laclos. Pubbliche relazioni che lasciano spazio al sentire, all’esprimere e al comunicare: al di là del bene e del male.

E comunicando si costruisce, si condivide, si ascolta soprattutto, per ritrasformare e arricchire continuamente il canovaccio.

 
Antonio Perrotta scrittore
Sulmona (AQ) - 2009

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Fra le opere presentate al castello di Castelvecchio (AQ) spiccano due opere del pittore Alfredo Santella: "Chirurgia d'urgenza" e " Vasectomia prossima ventura" nei quali il poliedrico e maturo artista ha prodotto, con mezzi tradizionali e/o desueti, lavori densi di concettualità e simbolismo e simbolismi intrisi di sogno onirico e di effetti ben modulati nelle scelte cromatiche e compositive.
 
Prof. Emiliano Splendore
Castelvecchio Subequo (AQ) - 2009

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